Non serve essere degli intenditori, per sapere che il riso è l’ingrediente principale del sake. Sono in pochi però a sapere quali sono gli altri ingredienti e soprattutto come vengono utilizzati. Ad esempio qualcuno pensa sbagliando che anche l’alcol sia uno degli ingredienti del sake (cosa che invece è vera soltanto per i sake di tipo honjozo).
Fughiamo quindi tutti i dubbi e vediamo insieme quali sono gli ingredienti del sake e il loro utilizzo nel processo di produzione.
Ingredienti sake
Gli ingredienti del sake, di base, sono 4:
- riso
- acqua
- spore di koji (麹, kōji, o 麹菌, kōji-kin) una muffa (Aspergillus oryzae) utilizzata per il processo di saccarificazione degli amidi del riso
- lievito
A seconda della variante di sake che si vuole produrre, può essere aggiunto dell’alcol etilico (etanolo).
Il riso per il sake
Pensi di poter fare il sake con un riso qualsiasi? Sbagliato! Al fine di creare un sake con una fragranza piacevole, buon gusto e aspetto chiaro, è necessario utilizzare riso raffinato e il miglior tipo per il sake è quello della sottospecie japonica, con chicchi medio piccoli.
Questa sottospecie di riso è più rotonda rispetto a quella a chicchi lunghi e ha un nucleo di amido relativamente grosso dentro il chicco di riso. In generale, più è rotondo e ricco il nucleo di amido e più è facile farlo fermentare.
Il riso utilizzato per il sake viene chiamato sakamai (酒米) e ne esistono più o meno 100 tipi. Quello che viene ritenuto il miglior tipo di sakamai è lo Yamada nishiki, il Re del riso da sake.
Per quanto riguarda il trattamento che il chicco subisce, il processo di raffinazione tende a rimuovere la parte esterna di ogni chicco in percentuali più o meno grandi, rimuovendo così tutto quello che potrebbe danneggiare il gusto del prodotto finale.
Lo strato duro esterno di crusca (che contiene fibre, minerali e vitamine) e il germe (il cosiddetto supporto nutritivo del chicco di riso, contenente antiossidanti e vitamine) deve essere rimosso dal riso integrale. Il riso decorticato. o genmai, è il riso che ha avuto la lolla rimossa e non sia stato macinato nemmeno parzialmente. Questo riso contiene un’abbondante quantità di proteine, grassi e vitamine, i quali sono tutti nutrienti per il consumo umano ma in grandi quantità risultano deleteri per la produzione del sake. Come gli strati esterni vengono rimossi, il nucleo di amido diventa più accessibile e facilita il processo di fermentazione.
La maggior parte dei sake sono realizzati a partire da riso che ha un rapporto di brillatura di almeno 75%, il che significa che almeno 25% è stato rimosso. Per fare un paragone, il normale riso bianco da tavola usato in cucina ha un rapporto tipicamente del 90-92%, cioè significa che solo l’8-10% è stato rimosso. Le varietà premium di sake come il Daiginjo, Ginjo e Honjozo, hanno rapporti di lucidatura ancora più rigorosi, regolati da norme precise che stabiliscono i criteri di qualità dei sake.
In generale, tanto più il grado di pilatura del riso è alto, migliore diventa il riso per la produzione di sake.
Il koji e il suo effetto sul riso
Come accennato prima, il riso è una componente fondamentale, ma senza il koji non si va da nessuna parte!
L’Aspergillus oryzae è una muffa che viene utilizzata nella preparazione di sake e non solo, in quanto presente nei processi produttivi anche di salsa di soia e shōchū (焼酎) in generale, distillati il cui volume di alcol è inferiore al 45%.
Il koji viene sparso sul riso dopo che questo è stato cotto al vapore. Una volta inoculato, durante i 5/7 giorni successivi ha inizio la fermentazione del riso. Questo procedimento serve a creare le sostanze necessarie a far agire il lievito, che verrà immesso successivamente nel processo. Difatti il riso, a differenza del malto, non ha le amilasi, ovvero gli enzimi necessari a convertire l’amido in zucchero.
Grazie al koji si creano amilasi maltogenica e proteasi, indispensabili al lievito (saccharomyces cerevisiae) per proliferare.
Anche per quanto riguarda il koji ne esistono più di una variante e per l’esattezza tre: la nera, la bianca e la gialla. La variante gialla è quella solitamente utilizzata nella produzione del sake, però è anche la più difficile da coltivare e la più sensibile ai cambi di temperatura. Nonostante questo, e il fatto che al suo posto spesso vengano usate le varianti nera o bianca, il koji giallo rimane il più apprezzato per il gusto ricco, fruttato e rinfrescante che imprime al sake e di conseguenza serve molta maestria per la sua lavorazione.
L’importanza dell’acqua
Nonostante il sake sembri un prodotto così semplice, spesso non si pensa a quanto debbano essere di qualità i ben pochi ingredienti che lo compongono. L’acqua infatti è estremamente importante nella realizzazione di un sake e il suo ruolo non si limita alle fasi di fermentazione ma anche alle fasi finali, quando il toji (cioè il maestro cantiniere) deve regolare il grado alcolico della bevanda.
Come noi siamo soliti vedere decine di tipi di acque diverse sugli scaffali dei supermercati, anche per il sake un’acqua non è uguale all’altra.
Dato che l’80% del sake è composto da questo “oro liquido”, una fonte d’acqua di qualità è un bene da tenersi stretto. Ecco perché, già a partire dal 1700, molte località come Nada (Kobe), Fushimi (Kyoto), Saijo (Hiroshima) e Aizu-Wakamatsu (Fukushima) hanno visto crescere in maniera esponenziale i produttori di sake nella loro area, in quanto c’era abbondante acqua di buona qualità. Certo, nel XVIII secolo non era di certo possibile fare analisi chimiche dettagliate sull’acqua come ai giorni nostri, ma i prodotti migliori venivano tutti da quelle città, e la voce si sparge in fretta…
Una delle migliori acque in assoluto, chiamata difatti miyamizu (宮水), è un”‘acqua celestiale” che sgorga nei pressi di Nishinomiya, nella prefettura di Hyōgo. Quest’acqua ha dato una fama eccellente ai sake prodotti nell’area, grazie alla composizione chimica perfetta per far lavorare vigorosamente i lieviti e alla totale assenza di ferro, una sostanza che agisce negativamente su aspetto e gusto finale del sake.
Durante tutto il processo di produzione del sake, l’acqua viene usata in grandissime quantità, praticamente in tutti gli stadi del processo. Questo però non significa che l’acqua usata durante la fermentazione sia la stessa che viene aggiunta alla fine, per regolare il grado alcolico. Quest’ultima difatti spesso è un’acqua normale ma di buona qualità, trattata per renderla il più pura possibile ma non necessariamente di qualità eccelsa come la miyamizu.
L’aggiunta di alcol etilico
Per la produzione di sake premium di tipo honjozo o per quella del futsushu, il sake comune, leader di mercato con l’80% delle vendite di sake in Giappone, l’alcol distillato è l’ingrediente che viene aggiunto in fase di fermentazione per definire il gusto e la struttura della bevanda.
L’alcol ha iniziato a essere usato quando il riso scarseggiava, ma oggigiorno viene sfruttato per dare un particolare gusto fragrante e rinfrescante al sake oppure per aumentarne la quantità, soprattutto di quelli più economici.
Il grado alcolico varia da 5% ai più comuni 15-16%, con punte di 20% se si parla di genshu, il sake non diluito. Il fatto che quasi tutti i sake si attestino sui 15-16% è probabilmente figlio della tassazione giapponese, che fino al 2006 imponeva un balzello ulteriore di 17 yen per ogni grado superiore a quella quantità.
Ad ogni modo, per la legge giapponese, il sake non può avere più del 22% di alcol. L’unico sake, pare, che supera questa soglia, è l’Echigo Samurai della Tamagawa Sake Brewery nella prefettura di Niigata, che è infatti classificato come liquore.