Il ruolo del Koji nella produzione del sake

Nel mondo del sake, alcuni ingredienti sono evidenti: il riso, l’acqua, il lievito. Ma ce n’è uno che resta spesso nell’ombra, pur essendo assolutamente cruciale. Si chiama koji, ed è molto più di un semplice componente: è l’elemento che dà vita al processo di fermentazione, l’arte invisibile che trasforma un cereale semplice come il riso in una bevanda complessa, profumata e viva.
Comprendere il ruolo del koji è come sbirciare dentro il cuore pulsante della produzione del sake: silenzioso, ma fondamentale.

Che cos’è il Koji

Il koji è riso inoculato con un microrganismo chiamato Aspergillus oryzae. Questo fungo, riconosciuto come sicuro per il consumo umano e usato in molte fermentazioni tradizionali giapponesi (inclusi miso, salsa di soia e mirin), ha un compito preciso nella produzione del sake: trasformare gli amidi del riso in zuccheri fermentabili.

In termini semplici, il koji è ciò che permette al riso — un alimento privo di zuccheri semplici — di diventare “fermentabile”. Senza questo passaggio, il lievito non avrebbe nulla di cui nutrirsi e il processo alcolico non inizierebbe mai.

Nel processo brassicolo occidentale questa trasformazione avviene grazie agli enzimi della maltazione. Nel sake, invece, ci pensa il koji.

Come si produce il Koji

La produzione del koji richiede un ambiente controllato e un grande livello di attenzione. Non è un passaggio industriale da automatizzare con facilità: ogni dettaglio conta, dalla temperatura all’umidità, fino al momento esatto in cui il riso deve essere manipolato.

La preparazione

Tutto inizia con riso cotto a vapore, scelto accuratamente in base alla varietà e al grado di lucidatura. Il riso viene lasciato raffreddare a una temperatura specifica (tra i 30° e i 40°C) prima di essere inoculato con le spore del koji (tane-koji).

L’incubazione

Il riso inoculato viene trasferito nel koji muro, una stanza calda e umida, dove la temperatura può raggiungere i 35-40°C. Qui inizia una fase di incubazione e monitoraggio costante, che può durare fino a 48 ore. I produttori devono mescolare e arieggiare il riso a intervalli regolari per evitare surriscaldamenti e garantire una crescita uniforme del fungo.

Durante questo tempo, l’Aspergillus oryzae comincia a produrre enzimi (amilasi e proteasi). Questi enzimi sono il segreto del koji: attaccano l’amido del riso e lo scompongono in zuccheri semplici, rendendolo disponibile per la successiva fermentazione alcolica.

Il risultato

Il risultato finale è un riso leggermente coperto da una patina bianca, morbido al tatto, dal profumo dolce e avvolgente. Questo è il koji pronto per essere usato nella preparazione del moromi (la miscela fermentante del sake).

Il cuore del doppio processo di fermentazione

Una delle unicità del sake rispetto ad altre bevande alcoliche è la fermentazione parallela multipla (heikō fukuhakkō), in cui la saccarificazione (produzione di zuccheri) e la fermentazione alcolica avvengono nello stesso contenitore, ma grazie a due attori diversi:

  • il koji che trasforma l’amido in zucchero
  • il lievito che trasforma lo zucchero in alcol

In altre parole, il koji è responsabile della materia prima fermentabile, mentre il lievito ne è il trasformatore. Questo processo parallelo consente al sake di raggiungere gradazioni alcoliche naturali molto più alte rispetto alla birra o al vino (fino al 18% vol prima della diluizione).

Il tipo di koji influenza il gusto del sake?

Assolutamente sì. Il modo in cui viene prodotto il koji, la varietà di riso utilizzata, il tempo di incubazione, la temperatura, la quantità di enzimi prodotti: tutto influisce sul profilo organolettico finale del sake.

Un koji “forte”, molto enzimatico, può dare luogo a sake secchi e netti, mentre un koji più dolce e aromatico può esaltare le note fruttate e floreali. I produttori più esperti riescono a “modellare” il koji come uno strumento musicale, per ottenere l’equilibrio desiderato tra alcol, dolcezza, acidità e umami.

In alcuni casi, il koji viene prodotto in più lotti, ognuno con caratteristiche specifiche, da miscelare strategicamente all’interno dello stesso sake. Questa tecnica permette un livello di controllo artistico sorprendente, molto più raffinato di quanto ci si possa aspettare da una bevanda fermentata.

Il ruolo culturale del koji in Giappone

Il koji non è solo un ingrediente tecnico: in Giappone è un simbolo culturale profondo, intimamente legato all’identità alimentare del paese.
Nell’ottobre 2006, il Ministero dell’Agricoltura giapponese ha ufficialmente riconosciuto l’Aspergillus oryzae come “fungo nazionale del Giappone”. Una scelta che non sorprende, considerando che la base di quasi tutte le fermentazioni tradizionali nipponiche deriva proprio da questo microrganismo.

Nel sake, il koji rappresenta una forma di “saggezza invisibile”: è il ponte tra la natura e la tecnica, tra la materia grezza e il prodotto raffinato. Ogni sakagura (birrificio di sake) ha i propri segreti, spesso tramandati da generazioni, riguardo alla produzione del koji. In alcuni casi, ci sono toji specializzati solo in questo passaggio, considerato tra i più critici in assoluto.

Koji moderno: innovazione e ricerca

Negli ultimi anni, la produzione del koji è stata oggetto di nuove sperimentazioni. Alcuni produttori stanno cercando varietà alternative di Aspergillus, in grado di produrre enzimi diversi o offrire profili aromatici più moderni. Altri ancora testano tecnologie di incubazione a controllo digitale, con sensori che misurano in tempo reale l’umidità e la temperatura.

C’è anche un crescente interesse per la produzione di koji “bio”, utilizzando riso biologico e tecniche di fermentazione naturali. Questi approcci puntano a ottenere un sake più sostenibile, trasparente e riconoscibile anche a livello etico, oltre che gustativo.

Alcuni birrifici hanno iniziato a utilizzare koji colorato (come il kuro-koji, a spore nere, usato nel sistema shochu), ottenendo risultati sorprendenti in termini di aromi e acidità.

Come “sentire” il koji nel sake

Per un neofita, riconoscere il ruolo del koji nel gusto del sake non è immediato. Tuttavia, con un po’ di allenamento si può imparare a percepirne l’impronta.

Un sake con forte presenza di koji tende a mostrare:

  • profumi di riso dolce, nocciola, castagna, talvolta un leggero sentore di vapore
  • una dolcezza naturale, equilibrata, mai stucchevole
  • una sensazione vellutata sulla lingua, con acidità controllata e sapidità umami

In particolare, i sake Junmai (che non contengono alcol aggiunto) sono spesso quelli dove il carattere del koji si esprime con maggiore chiarezza.