La differenza tra sake Junmai, Honjozo e Ginjo

Il sake, la bevanda alcolica tradizionale giapponese ottenuta dalla fermentazione del riso, è un universo sorprendentemente variegato. Tra le sue tante sfumature, tre categorie spiccano per diffusione e rilevanza: Junmai, Honjozo e Ginjo. Comprendere cosa li differenzia non è solo utile per scegliere una bottiglia, ma anche per avvicinarsi con maggiore consapevolezza alla cultura millenaria che li ha generati. In questo articolo esploreremo in profondità questi tre stili, tra tecniche di produzione, profili aromatici e suggerimenti di consumo.

Il punto di partenza: il riso e il grado di lucidatura

Prima di addentrarci nelle singole tipologie, è importante comprendere un elemento fondamentale nella classificazione del sake: il grado di lucidatura del riso, conosciuto come seimaibuai. Questo valore indica quanto è stato “lucidato” (cioè privato degli strati esterni) il chicco di riso prima della fermentazione. Più basso è il numero, maggiore è la quantità di riso eliminato, lasciando solo il cuore ricco di amidi e povero di grassi e proteine. Questo processo influenza profondamente il profilo aromatico del sake.

Il grado di lucidatura minimo richiesto per la maggior parte dei sake premium è il 70%, ovvero almeno il 30% del chicco viene rimosso. Ginjo e Daiginjo arrivano a percentuali ben più spinte. Questo è il primo criterio distintivo tra Junmai, Honjozo e Ginjo, ma non l’unico.

Junmai: il sake più puro

Il termine Junmai significa letteralmente “puro riso”. Questo tipo di sake è prodotto solo con quattro ingredienti: riso, acqua, koji (fermento di riso) e lievito. Non viene aggiunto alcol distillato durante il processo di produzione, come accade invece in altre categorie.

Dal punto di vista del gusto, il Junmai è spesso caratterizzato da un corpo pieno, una marcata acidità e una presenza gustativa più robusta. È un sake che ben si abbina ai piatti saporiti della cucina giapponese, ma anche a molte preparazioni occidentali come arrosti, formaggi stagionati o funghi. Non di rado, i Junmai vengono serviti riscaldati (kanzake), modalità che ne esalta la ricchezza e la profondità.

In passato, per fregiarsi dell’etichetta Junmai, il riso doveva essere lucidato almeno al 70%, ma questa regola è stata modificata: oggi può essere Junmai anche un sake con riso lucidato meno, purché non sia stato aggiunto alcol. Alcuni produttori, comunque, mantengono standard più alti per ragioni qualitative e di immagine.

Honjozo: equilibrio tra tradizione e tecnica

L’Honjozo è un tipo di sake che, a differenza del Junmai, prevede l’aggiunta di una piccola quantità di alcol distillato durante la fase finale della fermentazione. Questo passaggio non serve a “tagliare” il prodotto o renderlo più forte, bensì a estrarre aromi e profumi che altrimenti andrebbero persi e a rendere la bevuta più liscia e leggera.

Il riso utilizzato per produrre Honjozo deve essere lucidato almeno al 70%, proprio come i Junmai, ma la presenza dell’alcol lo rende spesso più secco, pulito e delicato. È il tipo di sake ideale per chi si avvicina per la prima volta a questa bevanda e preferisce un gusto più morbido, meno complesso, ma comunque armonioso.

In Giappone, l’Honjozo è molto popolare anche nei ristoranti e izakaya perché si adatta facilmente a diversi tipi di piatti, è facile da bere e ha un prezzo spesso più accessibile rispetto ad altri sake premium. Può essere servito freddo, a temperatura ambiente o leggermente riscaldato, a seconda delle caratteristiche specifiche del prodotto.

Ginjo: la finezza dell’artigianalità

Il Ginjo rappresenta una categoria di sake premium e richiede una lavorazione più complessa. Per essere classificato come Ginjo, il riso deve essere lucidato ad almeno il 60%, e la fermentazione avviene a bassa temperatura per un periodo più lungo rispetto alle categorie precedenti. Questo processo più lento e controllato favorisce la formazione di aromi floreali e fruttati molto più delicati.

Esistono due varianti principali: Ginjo (con aggiunta di alcol) e Junmai Ginjo (senza aggiunta di alcol). La differenza è la stessa che distingue Honjozo da Junmai, ma in una fascia qualitativa più alta.

I sake Ginjo sono apprezzati per la loro eleganza: spesso hanno note di mela verde, banana, melone o pera, accompagnate da una struttura leggera e una finitura pulita. Sono generalmente serviti freddi, per non compromettere le sottili sfumature aromatiche.

Produzione, materie prime e fermentazione fanno sì che il Ginjo sia spesso più costoso, ma anche molto amato tra gli appassionati per la sua complessità e raffinatezza. Ideale da sorseggiare da solo o con piatti leggeri come sashimi, tofu o insalate giapponesi.

Quale scegliere?

Non esiste una risposta giusta per tutti. Ogni tipologia di sake ha le sue peculiarità e i suoi contesti ideali. Se cerchi un sake che parli la lingua della tradizione, dal carattere deciso e autentico, il Junmai potrebbe essere la scelta giusta. L’Honjozo, invece, ti regalerà un’esperienza più accessibile, con un equilibrio perfetto tra morbidezza e pulizia del palato. Infine, se vuoi avventurarti nel lato più profumato ed elegante del sake, i Ginjo — in particolare i Junmai Ginjo — ti sorprenderanno.

Per i neofiti, una buona idea è quella di assaggiare tutte e tre le varianti in una degustazione comparativa, magari accompagnandole con piatti differenti. In questo modo è più facile cogliere le differenze e capire quale stile si adatta meglio ai propri gusti.

Il sake moderno: tra innovazione e riscoperta

Negli ultimi anni, la scena del sake sta vivendo una vera e propria rinascita. Molti produttori sperimentano nuove tecniche e stili, recuperano varietà di riso dimenticate o adottano metodi biologici. In questo contesto, le categorie tradizionali come Junmai, Honjozo e Ginjo continuano a rappresentare i pilastri della classificazione, ma vengono anche reinterpretate alla luce di nuove esigenze di mercato e gusti internazionali.

Anche al di fuori del Giappone, cresce l’interesse verso questa bevanda: ristoranti di alto livello, wine bar e persino enoteche cominciano a proporre il sake come valida alternativa al vino, specialmente per l’abbinamento a cucine complesse o fusion.

Conoscere la differenza tra Junmai, Honjozo e Ginjo non è solo utile per scegliere meglio al ristorante o in enoteca, ma è un modo per entrare nel cuore della cultura giapponese, fatta di equilibrio, stagionalità, rispetto per le materie prime e raffinatezza nel gusto.