Sake biologico e naturale: tendenze e produttori
Il sake, bevanda tradizionale giapponese dalla storia millenaria, è oggi al centro di una trasformazione profonda. Accanto ai metodi classici, da alcuni anni sta crescendo un movimento che promuove un modo più consapevole, rispettoso dell’ambiente e della materia prima: il sake biologico e naturale.
Quello che sembrava un trend di nicchia, destinato solo a pochi appassionati, sta diventando un fenomeno in crescita, capace di ridefinire l’identità stessa del sake. Ma cosa significa davvero “sake naturale”? E chi sono i produttori che stanno rivoluzionando questa antica arte fermentativa?
Cos’è il sake biologico?
Il termine “biologico”, nel contesto giapponese, ha implicazioni specifiche. Il sake biologico è prodotto con riso coltivato senza pesticidi, fertilizzanti chimici o organismi geneticamente modificati. Ma non si tratta solo della coltivazione. Anche i processi di fermentazione, l’uso dell’acqua, e la pulizia dell’ambiente di produzione devono seguire criteri rigidi.
La certificazione più riconosciuta è quella JAS (Japanese Agricultural Standards), l’equivalente giapponese del marchio biologico europeo. Tuttavia, non tutti i sake naturali sono certificati: molti piccoli produttori preferiscono lavorare fuori dai circuiti istituzionali, pur seguendo pratiche biologiche in ogni fase della lavorazione.
In sostanza, il sake biologico non è solo una questione di etichetta, ma di filosofia produttiva: rispetto per la terra, per il tempo della natura, per la biodiversità.
Il sake naturale: oltre il biologico
Il sake naturale, o “natural sake”, è spesso un’estensione ancora più radicale del concetto di biologico. Si ispira ai principi del vino naturale: minimo intervento umano, nessuna aggiunta chimica, fermentazioni spontanee. In giapponese, alcuni di questi prodotti vengono chiamati muroka nama genshu, cioè non filtrati, non pastorizzati, non diluiti.
Tra le caratteristiche distintive del sake naturale troviamo:
- uso di riso biologico o biodinamico
- lieviti selvatici presenti nell’ambiente della sakagura (cantina)
- fermentazioni non controllate in modo industriale
- assenza di carbone attivo per la filtrazione
- nessun additivo o trattamento correttivo
Il risultato è un sake vivo, imprevedibile, spesso torbido, con aromi più rustici, acidi o lattici. A volte esplosivo, altre delicatamente ossidativo. Un’esperienza che richiede curiosità e apertura mentale, ma che può sorprendere anche i più esperti.
Perché sta crescendo l’interesse?
Il crescente interesse per il sake biologico e naturale è figlio di un cambiamento globale nei consumi. Le persone vogliono sapere da dove proviene ciò che bevono, come è stato fatto, quali valori rappresenta. Questo vale per il vino, la birra, il caffè… e ora anche per il sake.
In Giappone, la riscoperta dei metodi antichi coincide anche con una reazione all’industrializzazione del settore. Molte grandi aziende producono sake con additivi, processi accelerati, riso non locale. I nuovi produttori biologici invece puntano su trasparenza, terroir e stagionalità.
In Occidente, invece, la moda del naturale è stata catalizzata da chef e sommelier alla ricerca di sapori autentici, da proporre nei ristoranti contemporanei. Il sake naturale, per le sue sfumature funky, acidule, fermentate, entra perfettamente nel menu dei locali che già servono vino naturale o cucina fermentata.
Piccoli produttori, grandi rivoluzioni
Non sono le grandi case di produzione a guidare questo cambiamento, ma piccoli produttori artigianali, spesso a conduzione familiare, che sperimentano senza paura. Ecco alcuni dei più rappresentativi:
Terada Honke (Chiba)
È forse il nome più conosciuto nel mondo del sake naturale. Terada Honke utilizza lieviti ambientali e non inocula nulla. La fermentazione è spontanea, e il riso utilizzato è tutto biologico e macinato a mano. Il loro sake è torbido, profondo, con aromi che spaziano dal kefir al pane integrale. Ogni bottiglia è un viaggio nel tempo.
Shinkame Shuzo (Saitama)
Uno dei pionieri del movimento junmai puro, ha rifiutato l’aggiunta di alcol già dagli anni ’60. Anche se non sempre certificato biologico, lavora con riso senza chimica e processi naturali. Il suo stile è rustico, ma controllato, e rappresenta una forma di “naturalezza disciplinata”.
Yuho (Ishikawa)
Prodotto dalla cantina Mioya Shuzo, Yuho si distingue per l’utilizzo di fermentazioni lunghe, basse temperature e riso locale non trattato. I loro sake, spesso junmai ginjo, sono aromatici, ma con una vena acidula che li rende perfetti per la cucina moderna.
Tedorigawa – “Yamahai” (anche in versione naturale)
Pur non dichiarandosi interamente naturali, alcuni prodotti Tedorigawa, soprattutto quelli realizzati con metodo yamahai (fermentazione tradizionale lenta), si avvicinano per filosofia e risultato al concetto di sake naturale. Vini da meditazione, più che da aperitivo.
Il profilo gustativo: cosa aspettarsi
Bere sake naturale è un’esperienza molto diversa da quella del sake da supermercato. Il gusto può sorprendere o spiazzare. Ecco alcune caratteristiche comuni:
- Maggiore acidità: dovuta a fermentazioni più lunghe o spontanee
- Aromi fermentativi: note lattiche, di yogurt, pane, lievito
- Corpo denso: spesso non filtrato o parzialmente torbido
- Sapore umami pronunciato
- Invecchiamento veloce: alcuni sake naturali evolvono rapidamente, modificando sapore e profilo in pochi mesi
Questa complessità li rende ideali per abbinamenti arditi o per chi ama degustare con attenzione, come si farebbe con un vino orange o una sour beer artigianale.
Sake naturale in Italia: si trova?
Fino a pochi anni fa era difficile trovare sake naturale in Italia, ma la situazione sta cambiando. Alcuni distributori specializzati hanno iniziato a proporre bottiglie rare, spesso in quantità limitata. I ristoranti giapponesi di alta fascia o quelli di cucina fusion contemporanea iniziano a inserirli in carta.
In particolare, alcune enoteche e sake bar a Milano, Roma e Torino stanno offrendo degustazioni tematiche. In queste occasioni si può provare il sake naturale accanto a piatti italiani, per capire quanto sia versatile.
Online, alcune piattaforme europee specializzate in sake importano anche prodotti biologici e naturali, benché i costi siano ancora piuttosto alti rispetto alle alternative più commerciali.
Le difficoltà del biologico in Giappone
Produrre sake biologico in Giappone non è semplice. A differenza di altri paesi, la superficie agricola disponibile è ridotta, e la pressione delle coltivazioni intensive è alta. Coltivare riso biologico richiede molto tempo, attenzione, e costi maggiori.
Inoltre, il clima umido giapponese rende difficile la coltivazione senza pesticidi. Il rischio di muffe, parassiti e malattie è alto. Chi sceglie questa strada lo fa per passione, non per profitto.
Non va dimenticato che anche il pubblico giapponese è spesso più conservatore: chi beve sake da generazioni tende a fidarsi delle etichette storiche e ad avere diffidenza verso prodotti “strani”, torbidi, o con sentori insoliti.
Una tendenza che guarda al futuro
Il sake naturale non sostituirà il sake tradizionale, così come il vino naturale non ha sostituito quello convenzionale. Ma rappresenta una voce necessaria nel panorama contemporaneo. Un modo per riscoprire il sake nella sua forma più viva, imperfetta, umana.
È anche un’opportunità per raccontare nuove storie: di artigiani coraggiosi, di risaie recuperate, di fermentazioni che sfuggono al controllo ma trovano una propria armonia. È una via che parla di territorio, sostenibilità, autenticità.
Per chi è curioso, per chi ama la sperimentazione, per chi cerca emozione più che perfezione, il sake naturale è una rivelazione.